domenica 1 aprile 2012

Mumbai, la città in cui povertà e opulenza camminano sullo stesso marciapiede senza mai scambiarsi uno sguardo…


Mumbai è decisamente la città più ricca dell’India.
Il lungo mare di Marine Drive potrebbe benissimo essere quello di Miami:


Noi però a passeggiare su quel lungomare ci siamo andati con Sanjay e Rupa, che di quei palazzoni conoscono giusto qualche nome (uno su tutti, il grattacielo della State Bank, che nel napoletan-indiano di Sanjay diventava Ishtei Ben).
Sanjay di lavoro fa la “guida” a Colaba: accalappia turisti affranti dal caldo umido (che non abbandona mai la città) per trascinarli verso uno dei vari hotel che gli pagherà la commissione (oltre ad intascarsi la mancia dei malcapitati turisti). Noi l’abbiamo incontrato mentre urlavamo contro un receptionist troppo scrupoloso a cui non bastavano le fotocopie dei nostri passaporti; ci ha convinti a seguirlo con una serie di promesse che non si sono mantenute, e così dopo il terzo hotel che ci faceva visitare e che non ci stava bene, mentre stavamo cercando di allontanarlo, ci ha fatto la grande proposta: “you can come to my home, free!”. Noi abbiamo un po’ tentennato cercando di immaginarci la truffa sottesa alla proposta, ma alla fine, spinti dalla nostra curiosità e dalla sua simpatia, ci siamo convinti a seguirlo, o meglio a caricare lui e il suo sacco con la legna sulla bici di Michele.
E così, proprio a cinque minuti di pedalata dal quartiere turistico, ci siamo ritrovati in mezzo a un piccolo slum. Che ci crediate o no la nostra reazione è stata: “wow!” Eravamo eccitati dal poter vivere in quel luogo che ci prometteva un’esperienza di vita intensa e profonda.

 
Al “nostro” slum si accede attraverso uno stretto vicolo che si apre su una grande spianata, intorno alla quale sorgono le casette che ospitano circa 400 persone. La maggior parte delle case è in muratura, o per lo meno ha un pavimento e le pareti di lamiera; quella di Sanjay è parecchio messa male perché si è sposato con Rupa solo da un mese lasciando la casetta della mamma decisamente più confortevole, a parte il misterioso sgabuzzino-cesso in cui volevano che facessimo la pipì senza ombra di uno scolo sul pavimento. Comunque poi abbiamo scoperto la presenza di quattro pulitissimi bagni pubblici con chiusura a lucchetto a cui si accede con rigoroso secchio d’acqua per lasciare pulito come si è  trovato.
Con Sanjay abbiamo passato cinque giorni magnifici e abbiamo creato un contatto profondo che non vorremmo perdere nel tempo, nonostante il suo piccolo vizietto di fumare l’eroina.
Per chi non fosse mai entrato in contatto con questo strano mondo della droga con la D maiuscola, diciamo che è possibile interagire tranquillamente con persone che hanno questa dipendenza; l’unico problema con Sanjay affiorava nel momento in cui, avendo fumato un po’ troppo, iniziava a chiederti – un po’ scherzando un po’ no – one hundred rupies, two hundred rupies, tree hundred rupies per qualsiasi cosa in modo compulsivo.
Lui e Rupa dormivano sul lettino, mentre a noi ospiti toccava il pavimento di terra e liquami su cui comunque veniva steso un telo di plastica; durante la notte poi arrivavano gli ospiti inattesi, i nostri amici topi, che senza remore ti passavano anche sulla testa (BRRRRRRRR).
La cena si cucinava, tra una stagnola e una canna, con un rudimentale fuoco a legna (e a volte sacchetti di plastica; vaglielo a spiegà che la plastica non si brucia: purtoppo qui in India è la prassi), dal quale comunque Rupa riusciva a tirar fuori dei manicaretti niente male…

Rupa di ritorno dal paradiso terrestre...
 
E infatti la cosa incredibile è proprio questa; dopo un paio di giorni di ambientamento è sorta in entrambi la stessa sconvolgente sensazione, lo stesso pensiero che lascia un brivido sulla schiena del ricco occidentale: queste persone non vivono poi così male, anzi!
Tutti lo dicono, ma nessuno davvero ci crede, né i ricchi né i poveri: le cose non fanno la felicità. L’unica opportunità che abbiamo di comprendere questa verità si crea quando i due mondi si incontrano, e così il povero può vedere come il ricco non sia poi così felice e il ricco può vedere come il povero non sia poi così disperato. Ognuno ha i suoi problemi e i suoi modi di risolverli: sta al singolo e non ai mezzi materiali di cui dispone trovare la serenità.
Ecco adesso ci siamo scervellati per esprimere tutti questi profondi concetti, ma sappiamo bene che sono solo parole al vento per chi legge, perché tali erano anche per noi prima di vivere a contatto con la povertà, quindi via allo stornello del grandissimo zio Rino: ma come fare non so, si devo dirlo, ma a chi? Semmaiqualcuno capirà, sarà senz’altro un altro come me…
L’altro lato della medaglia (perché c’è sempre un altro lato della medaglia) in questo caso è rappresentato dalla passività di queste persone nel farsi andare bene tutto, ma questo più che essere legato alla povertà sembrerebbe essere una caratteristica del mondo non-occidentale non-individualistico e decisamente più arrendevole e fatalistico (basti pensare ai concetti di caste e karma); insomma i poveri riescono a stare bene qua in India, invece da noi o soccombono alla disperazione oppure emergono e riescono più facilmente a migliorare la loro condizione.
Quindi in breve ci aspettiamo (senza aspettative) commenti di persone che ci chiedono francamente: ma de che state a parlà?
Grazie e arrivederci.
anzi no, beccatevi anche il video dello slum...






...c'è chi non trova posto neanche nello slum...

E concludiamo con alcune foto sconclusionate della grande mela indiana (ovvero: la papaya)






qui si lavano i panni sporchi di tutta Mumbai


ecco il nostro amico artista di strada dall'espressione jacknicholsoniana, con cui abbiamo passato due bei pomeriggi all'insegna della grafite e delle ombreggiature

1 commento:

  1. Tutto quello che fate e' molto interessante e vi fa crescere, e da condividere... ma non credo che con voi in Nepal vorro' condividere l'esperienza dello slum coi sorci che di notte ti solleticano dalla testa ai piedi!!

    Luca bigbro

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