sabato 28 aprile 2012

Katmandu: vicoli, polvere, templi e burro di Yak


Il giro d'Innepal ci ha portati a Katmandu, città che pensavamo potesse offrirci poco, e che invero ci ha sorpreso da tutti i pori!
Se si riesce a superare l'impatto polveroso, la caoticità nonsense delle nuove costruzioni, la sfacciata rudezza di un buon numero di persone (per lo meno, più che in India), si trova un'anima vibrante fatta di vicoli misteriosi che si aprono magicamente su grandi piazzali ricolmi di templi e di storia.




Alcuni vicoli non sono neanche vicoli, ma invisibili passaggi a tunnel (alti meno di un metro e mezzo): se per caso ne vedi uno e decidi di passarci dentro, potresti sbucare in un'inaspettata piazza come questa qui sopra.


Altre scoperte del girovagare senza meta nel centro...





Questa mucca (forse sacra, poichè qui l'induismo ci sembra essere un po' confuso, perlomeno sincretista, e comunque mangiano quasi tutti carne), era all'interno di un tempio, in questa stalla improvvisata.






Questo è lo stupendo Stupa di Boudha, il più grande del Nepal. E' davvero immenso, e tutti ci girano attorno rigorosamente in senso orario creando un fiume di persone impressionante; poi per chi non è stufo di girare intorno allo stupa, all'interno dei templi piò ancora girare intorno a questi cilindri giganti che spingendo fai ruotare a loro volta. Insomma, tutto gira e tutto è impermanente..!



L'acqua corrente (per non parlare dell'altra corrente: quella elettrica) è uno dei problemi di Katmandu. Pochi ce l'hanno in casa, e spesso manca anche nei ristorantini di strada, e comunque non è certo potabile... e pensare che qui ci sono 8 dei dieci 8000 metri (di montagna) del mondo e sgorgano fiumi ovunque...


Il centro è pieno di sofisticati intarsi in legno, che sbucano anche su palazzi poverissimi e semi distrutti.



Uscendo anche solo pochi kilometri (che comunque implicano un viaggio di qualche ora di pullman sgangherato) ti puoi imbattere in splendidi paesaggi ricchi di risaie e sorrisi (la vita di campagna rende i Nepalesi decisamente più affabili)


In chiusura di post, dell'ottimo rock nepalese da festività di piazza:

domenica 22 aprile 2012

Alta tensione sul tetto del bus

Ecco qua un video da ultimo minuto in cui Michele rischia la decapitazione per cercar di fare una ripresa maldestra sul gremito tetto del bus. Dal video non si capisce troppo, ma eravamo circa una cinquantina sul tetto più chissà quanti all'interno...
In Nepal sul pullman, oltre al conducente, si aggira la leggendaria figura dell'accalappiatore di persone che non ha ben chiaro il concetto di limite: con forti percussioni sulla carena del bus o con melodiosi fischiettii cerca di far salire chiunque, anche chi cammina tranquillamente per la strada, non importa se c'è spazio o meno, lui non si ferma mai...
Nel frattempo siamo tutti eccitati sia per l'arrivo dei fratelli di Emilia che per i doni da re magi che porteranno, ovvero formaggi di tutti i tipi, olio d'oliva, varie verdurini sott'olio, marmellate di lamponi, IL PANE CASARECCIO (vi sembrerà un'assurdità, ma ci siamo rotti i coglioni del chapati, che qui in Nepal non sanno neppure fare...). Non vediamo l'ora di riabbracciarli!


venerdì 13 aprile 2012

Nepal: il video che non t'aspetti...

Trasmettiamo in differita da Katmandu la prima (nonche' ultima, e alla fine scoprirete perche') puntata dell'avvincente Giro d'Innepal.
Questo incredibile filmato di pura arte demenziale e' stato spontaneamente girato su una strada secondaria che ci avrebbe di li a poco portato a Damauli, dove abbiamo preso la Prithvi Highway per Katmandu.
In tutto qui in Nepal abbiamo pedalato per circa 300 km (i nostri ultimi in coppia, sempre alla fine per spiegazioni).




E' proprio cosi, abbiamo venduto la vecchia bezzi che ormai aveva perso la sicura... Dopo circa 24 ore di tentennamenti nel panico da indecisione tra spendere 70 euro per un cambio (forse???) Shimano e guadagnarne 40 per abbandonare la bici al suo destino, abbiamo tristemente optato per la seconda che hai detto. Soprattutto perche' d'ora in poi le bici non le avremmo piu' usate, ma solo scomodamente in treno trasportate (e quindi one is megl che two!).
Ma soprattutto perche', e qui c'e' la notiziona bomba (ma forse non ve ne frega piu' di tanto...), abbiamo deciso di tornare in Italia subito dopo aver finito il corso di Yoga, ovvero a fine luglio. E per di piu', in barba all'ecologia, ci prendiamo un bell'aereo sgasone, evviva la CO2!
E gia' che ci siamo vi informiamo che ad agosto saremo in Sardegna a massaggiar ricconi e far yoga da spiaggia, cosi da sperimentare subito le conoscenze acquisite in Oriente (e recuperare un po' di soldi...).

Non vediamo l'ora di riabbracciarvi, a voi tutti ma anche al pecorino sardo...!
 




venerdì 6 aprile 2012

Varanasi: in tre nel tridente di Shiva

Dalle invisibili vette nepalesi vi raccontiamo dell'ultima tappa indiana.
A Varanasi abbiamo calorosamente riabbracciato Andre, anche lui in viaggio mistico nel subcontinente.


Fratello Andrea ci e' apparso in smagliante forma psico-fisica e in un paio di sedute psicoanalitiche sul tetto della guesthouse ci ha aiutato a risolvere i nostri problemucci di coppia (dal blog non e' mai trapelato ma in questo intenso viaggio, h 24 together, siamo stati sull'orlo della crisi "allora io me ne torno in Italia" almeno un paio di volte).

Varanasi e' una delle citta' piu' antiche del mondo e la piu' sacra dell'India. Per gli Induisti rappresenta l'unico posto al mondo in cui e' possibile sfuggire al samsara, quindi e' il luogo migliore per morire.



Passeggiando sulle rive del Gange, a parte l'irresistibile ed onnipresente odore di plastica bruciata, ben altri fuochi ti colpiscono i sensi: sono le pire dove vengono cremati giorno e notte i fortunati morti a Varanasi.
Vorremmo or ora farvi un'esaustiva lezione sulle divinita' Hindu, che sappiamo apprezzereste non poco, ma qui fuori le caprette ci fanno ciao e gli sherpa namaste'; quindi in due parole Shiva e' un gran bel distruttore, questa e' la sua citta' e l'aria di morte la pervade e ti pervade, nel bene e nel male... Il sentimento di degrado che ci ha assalito tra i vicoli era comunque sempre accompagnato da un senso di energia vitale e rinascita che da questa distruzione necessariamente partono.

Capre distruttrici di florealita'

Uomo distruttore di tempo

Moto distruttrice di ambiente

Adesso basta che siamo pesanti...



Michele canottiere ritrovato







...e per risollevare un po' le sorti di questo post chiudiamo una rinascita in movimento sul Gange


domenica 1 aprile 2012

Mumbai, la città in cui povertà e opulenza camminano sullo stesso marciapiede senza mai scambiarsi uno sguardo…


Mumbai è decisamente la città più ricca dell’India.
Il lungo mare di Marine Drive potrebbe benissimo essere quello di Miami:


Noi però a passeggiare su quel lungomare ci siamo andati con Sanjay e Rupa, che di quei palazzoni conoscono giusto qualche nome (uno su tutti, il grattacielo della State Bank, che nel napoletan-indiano di Sanjay diventava Ishtei Ben).
Sanjay di lavoro fa la “guida” a Colaba: accalappia turisti affranti dal caldo umido (che non abbandona mai la città) per trascinarli verso uno dei vari hotel che gli pagherà la commissione (oltre ad intascarsi la mancia dei malcapitati turisti). Noi l’abbiamo incontrato mentre urlavamo contro un receptionist troppo scrupoloso a cui non bastavano le fotocopie dei nostri passaporti; ci ha convinti a seguirlo con una serie di promesse che non si sono mantenute, e così dopo il terzo hotel che ci faceva visitare e che non ci stava bene, mentre stavamo cercando di allontanarlo, ci ha fatto la grande proposta: “you can come to my home, free!”. Noi abbiamo un po’ tentennato cercando di immaginarci la truffa sottesa alla proposta, ma alla fine, spinti dalla nostra curiosità e dalla sua simpatia, ci siamo convinti a seguirlo, o meglio a caricare lui e il suo sacco con la legna sulla bici di Michele.
E così, proprio a cinque minuti di pedalata dal quartiere turistico, ci siamo ritrovati in mezzo a un piccolo slum. Che ci crediate o no la nostra reazione è stata: “wow!” Eravamo eccitati dal poter vivere in quel luogo che ci prometteva un’esperienza di vita intensa e profonda.

 
Al “nostro” slum si accede attraverso uno stretto vicolo che si apre su una grande spianata, intorno alla quale sorgono le casette che ospitano circa 400 persone. La maggior parte delle case è in muratura, o per lo meno ha un pavimento e le pareti di lamiera; quella di Sanjay è parecchio messa male perché si è sposato con Rupa solo da un mese lasciando la casetta della mamma decisamente più confortevole, a parte il misterioso sgabuzzino-cesso in cui volevano che facessimo la pipì senza ombra di uno scolo sul pavimento. Comunque poi abbiamo scoperto la presenza di quattro pulitissimi bagni pubblici con chiusura a lucchetto a cui si accede con rigoroso secchio d’acqua per lasciare pulito come si è  trovato.
Con Sanjay abbiamo passato cinque giorni magnifici e abbiamo creato un contatto profondo che non vorremmo perdere nel tempo, nonostante il suo piccolo vizietto di fumare l’eroina.
Per chi non fosse mai entrato in contatto con questo strano mondo della droga con la D maiuscola, diciamo che è possibile interagire tranquillamente con persone che hanno questa dipendenza; l’unico problema con Sanjay affiorava nel momento in cui, avendo fumato un po’ troppo, iniziava a chiederti – un po’ scherzando un po’ no – one hundred rupies, two hundred rupies, tree hundred rupies per qualsiasi cosa in modo compulsivo.
Lui e Rupa dormivano sul lettino, mentre a noi ospiti toccava il pavimento di terra e liquami su cui comunque veniva steso un telo di plastica; durante la notte poi arrivavano gli ospiti inattesi, i nostri amici topi, che senza remore ti passavano anche sulla testa (BRRRRRRRR).
La cena si cucinava, tra una stagnola e una canna, con un rudimentale fuoco a legna (e a volte sacchetti di plastica; vaglielo a spiegà che la plastica non si brucia: purtoppo qui in India è la prassi), dal quale comunque Rupa riusciva a tirar fuori dei manicaretti niente male…

Rupa di ritorno dal paradiso terrestre...
 
E infatti la cosa incredibile è proprio questa; dopo un paio di giorni di ambientamento è sorta in entrambi la stessa sconvolgente sensazione, lo stesso pensiero che lascia un brivido sulla schiena del ricco occidentale: queste persone non vivono poi così male, anzi!
Tutti lo dicono, ma nessuno davvero ci crede, né i ricchi né i poveri: le cose non fanno la felicità. L’unica opportunità che abbiamo di comprendere questa verità si crea quando i due mondi si incontrano, e così il povero può vedere come il ricco non sia poi così felice e il ricco può vedere come il povero non sia poi così disperato. Ognuno ha i suoi problemi e i suoi modi di risolverli: sta al singolo e non ai mezzi materiali di cui dispone trovare la serenità.
Ecco adesso ci siamo scervellati per esprimere tutti questi profondi concetti, ma sappiamo bene che sono solo parole al vento per chi legge, perché tali erano anche per noi prima di vivere a contatto con la povertà, quindi via allo stornello del grandissimo zio Rino: ma come fare non so, si devo dirlo, ma a chi? Semmaiqualcuno capirà, sarà senz’altro un altro come me…
L’altro lato della medaglia (perché c’è sempre un altro lato della medaglia) in questo caso è rappresentato dalla passività di queste persone nel farsi andare bene tutto, ma questo più che essere legato alla povertà sembrerebbe essere una caratteristica del mondo non-occidentale non-individualistico e decisamente più arrendevole e fatalistico (basti pensare ai concetti di caste e karma); insomma i poveri riescono a stare bene qua in India, invece da noi o soccombono alla disperazione oppure emergono e riescono più facilmente a migliorare la loro condizione.
Quindi in breve ci aspettiamo (senza aspettative) commenti di persone che ci chiedono francamente: ma de che state a parlà?
Grazie e arrivederci.
anzi no, beccatevi anche il video dello slum...






...c'è chi non trova posto neanche nello slum...

E concludiamo con alcune foto sconclusionate della grande mela indiana (ovvero: la papaya)






qui si lavano i panni sporchi di tutta Mumbai


ecco il nostro amico artista di strada dall'espressione jacknicholsoniana, con cui abbiamo passato due bei pomeriggi all'insegna della grafite e delle ombreggiature